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Il Conte Giancarlo Tramontano

Giovan Carlo Tramontano era un napoletano di origini popolane, che visse nel Quattrocento, ai tempi delle lotte tra spagnoli e francesi. Sostenitore della dinastia aragonese, fu banchiere, Maestro della Regia Zecca di Napoli, in quanto dirigeva la coniazione della moneta del Regno. Fu il primo cittadino del Parlamento partenopeo ad essere eletto dal popolo: primato di tutto rispetto, se consideriamo che tale assise era riservata tradizionalmente alla nobiltà e al clero. Con sotterfugi e astuzie, nel 1497 Giancarlo Tramontano riuscì finalmente a farsi nominare Conte di Matera, città che fino ad allora era stata demaniale, cioè dipendente direttamente dalla Corona, quindi, piuttosto libera, con maggiore autonomia e minore fiscalità rispetto alle città feudali. Il sovrano subordinò la concessione della contea all’approvazione dei cittadini materani, che non intendevano affatto dipendere da un feudatario. Eppure, Giancarlo Tramontano riuscì ugualmente nell’intento di ottenere tale approvazione, sia corrompendo alcuni nobili materani, con la promessa di concedere loro l’esercizio di alcuni privilegi, sia raggirando alcuni popolani materani, con la promessa di concedere loro alcune esenzioni dalle tasse.

Durante una battaglia contro i francesi, il Tramontano venne fatto prigioniero e privato della contea di Matera, ma, riuscito a liberarsi, si recò a Napoli, per assistere al corteo reale del re Ferdinando e della sua consorte, allo scopo di entrare nelle loro grazie.

Tramontano, da esperto manipolatore, escogitò un trucco per impressionare il re: fece costruire degli archi trionfali lignei e li fece posizionare in strade vicine a quelle in cui si sarebbe svolto il corteo. Una volta avviato il corteo, egli predispose che da questi archi fossero lanciate monete e altri oggetti di valore, in maniera tale da attrarre in quei punti gran parte della folla. Riuscì così bene nel suo intento, al punto da indurre lo stesso re a cambiare il percorso del corteo, ormai ridottosi a pochi seguaci, per dirigersi verso quegli archi prodigiosi.

Il Tramontano e sua moglie, per completare l’opera di accattivarsi la simpatia dei reali, in vista di una riassegnazione della contea di Matera, omaggiarono la regina con una collana di perle. Anche se il re non cedette a tali lusinghe, in seguito il Tramontano riuscì a convincere il viceré a farsi riassegnare l’ambita contea.

Ritornato a Matera in condizioni di ristrettezze economiche, per parare i suoi debiti, l’odiato conte Tramontano, che già aveva raggirato e vessato i cittadini materani, nobili e popolani, pretese dalla nobiltà locale ulteriori tassazioni e dal popolo l’esorbitante somma di 24mila ducati.

Esattamente il giorno dopo l’esosa richiesta di danaro ai materani, con il malcontento popolare, giunto ormai all’apice, il conte fu assassinato.

L’omicidio avvenne la sera del 29 dicembre 1514, quando il conte e sua moglie uscirono dalla Cattedrale alla fine della messa vespertina.

Non furono mai trovati né i mandanti né gli esecutori materiali del delitto, anche se è facile immaginare la concordia unanime della popolazione nel volersi liberare dall’esosa oppressione di un tale tiranno.

Il delitto fu considerato comunque un attentato alla Corona, rappresentata sul territorio dal conte, e per tale motivo il re inviò a Matera il commissario Giovanni Villani per indagare e punire i colpevoli.

In realtà furono catturati e giustiziati quattro materani innocenti, mentre altri cittadini inquisiti furono costretti a pagare duemila ducati per riscattare la propria libertà.

La stessa amministrazione cittadina fu accusata di aver fomentato la sommossa senza aver punito i colpevoli e fu condannata ad un’ammenda di diecimila ducati.

Soltanto il 28 maggio 1515, su richiesta del Sindaco e dietro il pagamento di un ulteriore ammenda, il re concesse l’indulto alla città.

Il commissario Villani, in seguito a questa vicenda, scrisse addirittura una commedia, intitolata “Il Conte di Matera” che a sua volta ispirò la produzione dell’omonimo film del 1957, diretto da Luigi Capuano e interpretato da Virna Lisi.

Secondo alcuni studiosi, a questo episodio si riferisce il motto latino, posto ai piedi del bue, raffigurato nello stemma municipale materano. Esso recita: bos lassus firmius figit pedem (il bue stanco affonda il passo più fermamente). Morale della favola: il popolo materano avrebbe la tempra di un bue: instancabile, dignitoso lavoratore, ma non certamente disposto a sopportare sacrifici oltre una ragionevole misura!

E’ interessante rilevare che, all’epoca dell’efferato delitto, per commemorare l’accaduto, un anonimo cronista, discretamente colto, sentì l’esigenza di incidere un graffito in latino nella chiesa di San Giovanni Battista. Ancora oggi si può leggere: DIE 29 DC (decembris)15[.]5 INTERFECTVUS (est) COMES MA(therae).

Riguardo l’anno, fu scritto 1515 anziché 1514, perché, sin dal medioevo e ancora a quei tempi, in base ai diversi stili di conta degli anni, quello della natività poneva l’inizio dell’anno già il 25 dicembre, anziché il primo gennaio, come prescriveva invece lo stile della circoncisione.

A causa della prematura morte del conte, il fortilizio posto a monte della città di Matera, il cosiddetto Castello Tramontano, non fu mai ultimato, e la via posta al lato della Cattedrale, ove avvenne l’efferato delitto, è tuttora chiamata via Riscatto.

Per ironia della sorte, se a Matera la figura del Conte è rimasta impressa negativamente nella memoria collettiva, come testimonia la toponomastica locale, che introdusse la Via del Riscatto, a Napoli, in zona centrale, nei pressi del Duomo, esiste invece la Via Giancarlo Tramontano, a ricordo della sua elezione democratica nel Parlamento di Napoli, la prima della storia del Regno a rappresentare il popolo!

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